
A volte certe cose preferiremmo non saperle.
Altre volte, ci sono altre cose che non bisognerebbe dimenticare.
Spesso poi accade che le cose che non vorremmo sentire sono proprio ciò che è di capitale importanza conoscere e tenere a mente; come le cose che ieri sera sono uscite dalla bocca del grande Marco Travaglio e che ho ascoltato con estremo coinvolgimento per più di tre ore.
Una miriade di parole per raccontare gli ultimi 15 anni di storia della politica italiana, un periodo così buio che al confronto il medioevo sembra il Rinascimento. Un fiume di numeri, nomi, fatti, eventi, che, nonostante non fosse la prima volta che li sentivo, mi ha letteralmente travolto e sconvolto.
Mentre stavo lì, a sentirmi raccontare di come in questi anni la corruzione si sia diffusa in tutto il paese, logorandolo come un cancro, mentre spiegava come un gruppo relativamente limitato di persone, per alimentare la propria insaziabile fame di denaro e potere abbia venduto il paese alla mafia, si sono succedute dentro di me una serie di emozioni molto fortie e una serie di domande mi si sono affacciate alla mente.
Dapprima e per la maggior parte del tempo, ho provato sconforto e dolore, per un paese che è stato corroso da un branco di persone senza scrupoli, per una melma che invece di ritirarsi sembra avanzare sempre di più, per l'apparente (o forse reale) impossibilità a rimettere a posto le cose.
Mi sono chiesta "ma chi glielo fa fare a Travaglio di continuare a indagare, a ricercare così ostinatamente la verità, a ripetere incessantemente le stesse storie, se poi metà delle persone è comunque favorevole o rassegnata a lasciare le cose stanno? come fa a continuare pur sapendo che la sua è una delle poche voci della verità? possibile che rimanga in Italia solo perchè essendoci tanti soprusi e perversità avrà sempre il lavoro assicurato? Sapendo tutto quello che sa, dove trova la forza e la voglia di continuare a vivere qui?" Il chè mi ha subito fatto scattare il pensiero: me ne vado, mi rifiuto di vivere in uno Stato devo probabilmente mi aspetta una vita di stenti, sacrifici e incertezza, per colpa dell'ingordigia di quelli che dovrebbero tentare di migliorare, la mia, di vita, e quella delle altre persone che vivono in questo paese.
Poi però mi sono detta, si è vero, probabilmente all'estero starei meglio e in molti casi troverei più giustizia, un maggior rispetto per la legalità e certamente un senso civico e morale esponenzialmente superiore, ma l'Italia sarebbe comunque là a marcire, in mano alla mafia (quella "ufficiale" del sud e quella "ufficiosa" delle sedi del governo). Allora ho capito che comunque non mi sarebbe bastato, perchè non è solo il fatto che il mio titolo di studio non valga niente, che probabilmente vivrò nel precariato a vita e che non avrò mai la pensione, a darmi fastidio, ma in primis è l'ingiustizia.
In seguito quindi, è arrivata anche l'indignazione, sentimento che in me, come nella maggior parte degli italiani sembra essere stato messo a tacere da uno status quo che, assuefacendoci alla corruzione, all'immoralità, all'illecito legale, ha lasciato spazio solo alla rassegnazione e all'arrendevolezza. Un moto di ribellione, seppur ancora troppo debole, ha iniziato a salirmi dentro, dal basso verso l'alto. Avevo voglia di gridare, di andare a bussare a tutte le porte e dire "cazzo! ma come si fa? ma vi rendete conto? svegliatevi!" viviamo in un viscidissimo regime, diverso da quello fascista solo per l'astuzia con il quale viene mascherato dalle classi politiche, di destra come di sinistra, e noi ancora crediamo di abitare un paese democratico. Ci lasciamo abbindolare, ci facciamo fare di tutto, convinti ormai che la nostra parola non valga niente.
Insomma, alla fine mi è venuta voglia di fare qualcosa, anche se poi mi sono subito chiesta "ma io che posso fare?". Tuttavia non posso mica restare indifferente ai crampi che ho sentito allo stomaco durante tutto lo spettacolo!
Infine, ho così trovato la risposta alle mie domande e ho realizzato che Travaglio deve avere gli stessi crampi, ho capito che va avanti per lo stesso motico per cui io voglio provare con tutte le mie forze a lavora al servizio della cultura. Perchè è un bisogno quasi fisico, perchè semplicemente non ne può fare a meno, la giustizia è il suo "imperativo incondizionato", per usare un termine imparato alla Blitris, come per il Dr. House curare i suoi pazienti.
E' forse lo stesso motivo per cui Paolo continua a lavorare per Riminiteatri da anni nonostante lo stipendio basso, l'ignoranza e la poca collaoratività dei colleghi e l'indifferenza delle istituzioni.
A volte si sta meglio a non sapere certe cose.
Altre volte è bello sapere che esistono certe persone.