mercoledì 30 aprile 2008

Il lavoro (culturale) debilita e nobilita l'uomo (e la donna)

(Disegno di Blu www.blublu.org)
Oggi mattinata proprio del cacchietto in ufficio. In realtà già lo sapevo. In realtà ero preparata. In realtà parte delle colpe sono effettivamente mie e di Ele, ma stamattina è stata veramente orrenda.
Ma a dimostrare che non tutti i mali vengono per nuocere, per fortuna in mezzo alle tensioni, allo sconforto, alle acidate, alle delusioni e ai rimproveri c'è stato anche un momento in cui quasi mi sono commossa, un attimo in cui mi sono ricordata perchè sto facendo tutto questo, un istante in cui ho capito che devo affrontare il servizio civile, per quanto a volte noioso possa essere, con uno spirito diverso.
Mentre Paolo parlava delle frustrazioni di chi lavora nella cultura come noi, con enormi sacrifici, grandi incertezze e rari riconoscimenti, ci ha detto che dobbiamo sentirci fieri di quello che continuiamo e ci impegnamo a fare solo per passione e perchè ci crediamo.
E così sono tornata ancora una volta agli argomenti di alcuni dei post precedenti.
E così ho capito che nel mio piccolo faccio qualcosa di "grande" anche io.

Nel questionario che stiamo mandando, ormai da giorni, agli artisti e a tutti coloro che in qualche modo lavorano nella cultura, c'è una domanda che chiede "Perchè fare cultura oggi?", qualcuno per rispondere si è lanciato in lunghe considerazioni sul concetto di cultura ed in arringhe su come questa viene considerata oggi, ecc..ecc..
Io la mia risposta l'ho trovata e, paradossalmente, proprio nella parte più frustrante di questo lavoro.

Perchè fare cultura oggi?
Per amore.

martedì 29 aprile 2008

Cambi di rotta ovvero Come inventai il Fatalismo propositivo

Aggiornamenti sul mio, improbabile, futuro di studentessa d'oltralpe: a quanto pare devo aver letto male o scaricato il "dossier de candidature" sbagliato, perchè ho appena scoperto che le iscrizioni per gli stranieri all'Università di Lille, sono scadute dal 15 aprile.
Beh devo dire che ci sono rimasta abbastanza male:
Uno, perchè il corso mi piaceva
Due, perchè avevo scoperto che a Lille c'è un fantastico festival di fotografia
Tre, perchè era comunque una delle due opzioni che mi ero data.
Tuttavia, non mi sono disperata come credevo, anzi in fondo al cuore ho come provato una sorta di sollievo, di cui ancora però non trovo l'origine.
By the way, in questi ultimi due anni mi sono abituata e convinta a pensare che se le cose non vanno probabilmente c'è un motivo, motivo che ottimisticamente credo sia sempre buono e si rivelerà favorevole nel futuro. Insomma sono diventata una vera fatalista del tipo "Non era destino", "mi aspetta qualcosa di meglio", "tutto ciò avrà sicuramente un senso" e trovo che, tutto sommato, questo atteggiamento, forse un po' mistificatorio e auto-illusivo, sia migliore del "sono la più sfigata del mondo", "fallirò per sempre", "ho il dna della perdente" di un tempo.
Sicuramente è meno distruttivo e molto più costruttivo. Tanto è vero che non mi sono persa d'animo, mi sono subito messa a cercare altre possibili facoltà candidate e in poco più di mezz'ora la mia ricerca ha prodotto altre due opzioni (con le iscrizioni ancora aperte) ed entrambe a Parigi, città che io considero il non-plus ultra, metropolitanamente parlando, tra i luoghi terreni in cui vivere.
Detto ciò, i buoni propositi per il week-end superlungo che si appresta ad arrivare sono: dedicare almeno una giornata a scaricare tutti i materiali per tutte le iscrizione delle facoltà finora reperite e compilarne almeno 1. Et saira, saira, whatever will be, will be...

venerdì 25 aprile 2008

Errata Corrige: illuminazione sui moderni eroi

Oggi in ufficio niente da fare: niente fatture da spedire, niente ddt da riordinare, niente fax da inviare, niente telefonate a cui rispondere.
Nel vano tentativo di mettere a frutto questo tempo, dato che purtroppo, nonostante il geniale spunto offerto da "Il dittatore dello stato libero di Bananas", non hanno ancora inventato la palestra da ufficio (cfr.foto), cercherò di scrivere la lettera di motivazione per l'Università di Lille.
Prima però, vorrei fare delle piccole precisazioni sul post precedente, perchè ieri, parlando con Grazia, ho avuto delle risposte più soddisfacenti alle mie domande, nonchè delle precisazioni importanti riguardo ad alcune delle questioni che la mia mente aveva, non troppo approfonditamente affrontato.
In primo luogo una correzione: Grazia mi ha fatto notare che quella che io ho chiamato mafia "ufficiosa" non è solamente quella dei politici, ma è dappertutto (nel sistema economico in primis, ma qui mi fermo perchè ci vorrebbe un blog solo per questo).
In secondo luogo, molto più importante, stare ad ascoltare Grazia ieri ha gettato una nuova luce sull'importanza del lavoro di tutte quelle persone che, come lei e come Travaglio, cercano di conservare e trasmettere la libertà. Parlandomi del suo lavoro, mi ha detto che nei primi tempi era rimasta stupita e sconvolta dal fatto che tutte le persone che andavano da lei avessero lo stesso problema di incapacità a gestire la propria vita, poi col tempo aveva capito e si era abituata all'idea che questa condizione di schiavitù mentale è in realtà quella della maggior parte delle persone.
Tuttavia, quello che lei può fare è solo lavorare sul singolo, trasmettere quello che sa, insegnare a essere liberi a ciascun individuo singolarmente, "non possiamo più sperare nei grandi movimenti". L'unica cosa che possiamo fare, ha detto, è continuare a conservare certi valori, le opere e i traguardi dei grandi, trasmetterli alle persone che sono disposte ad accoglierli, anche se sono un numero ristretto.
I cambiamenti non arriveranno presto. Ma quando finalmente arriveranno, quelli che verranno dopo di noi avranno di che "nutrirsi", qualcosa da cui ripartire che noi avremo aiutato a conservare.
Sentendo quelle parole, guardandola cucinare le verdure coltivate nel suo orto, ho capito la forza di questa donna e la grandezza del suo operato, ho capito che una rivoluzione non necessita per forza di piazze, di grandi numeri e di azioni eclatanti, ma si può fare anche stando seduti in una cucina insegnando a riscoprire il valore del lavoro manuale o in un teatro raccontando notizie che nessuno ha il coraggio di dare.
E finchè anche solo una persona sarà cambiata questo lavoro non sarà stato sprecato.

mercoledì 23 aprile 2008

Promemoria

A volte certe cose preferiremmo non saperle.
Altre volte, ci sono altre cose che non bisognerebbe dimenticare.
Spesso poi accade che le cose che non vorremmo sentire sono proprio ciò che è di capitale importanza conoscere e tenere a mente; come le cose che ieri sera sono uscite dalla bocca del grande Marco Travaglio e che ho ascoltato con estremo coinvolgimento per più di tre ore.
Una miriade di parole per raccontare gli ultimi 15 anni di storia della politica italiana, un periodo così buio che al confronto il medioevo sembra il Rinascimento. Un fiume di numeri, nomi, fatti, eventi, che, nonostante non fosse la prima volta che li sentivo, mi ha letteralmente travolto e sconvolto.
Mentre stavo lì, a sentirmi raccontare di come in questi anni la corruzione si sia diffusa in tutto il paese, logorandolo come un cancro, mentre spiegava come un gruppo relativamente limitato di persone, per alimentare la propria insaziabile fame di denaro e potere abbia venduto il paese alla mafia, si sono succedute dentro di me una serie di emozioni molto fortie e una serie di domande mi si sono affacciate alla mente.
Dapprima e per la maggior parte del tempo, ho provato sconforto e dolore, per un paese che è stato corroso da un branco di persone senza scrupoli, per una melma che invece di ritirarsi sembra avanzare sempre di più, per l'apparente (o forse reale) impossibilità a rimettere a posto le cose.
Mi sono chiesta "ma chi glielo fa fare a Travaglio di continuare a indagare, a ricercare così ostinatamente la verità, a ripetere incessantemente le stesse storie, se poi metà delle persone è comunque favorevole o rassegnata a lasciare le cose stanno? come fa a continuare pur sapendo che la sua è una delle poche voci della verità? possibile che rimanga in Italia solo perchè essendoci tanti soprusi e perversità avrà sempre il lavoro assicurato? Sapendo tutto quello che sa, dove trova la forza e la voglia di continuare a vivere qui?" Il chè mi ha subito fatto scattare il pensiero: me ne vado, mi rifiuto di vivere in uno Stato devo probabilmente mi aspetta una vita di stenti, sacrifici e incertezza, per colpa dell'ingordigia di quelli che dovrebbero tentare di migliorare, la mia, di vita, e quella delle altre persone che vivono in questo paese.
Poi però mi sono detta, si è vero, probabilmente all'estero starei meglio e in molti casi troverei più giustizia, un maggior rispetto per la legalità e certamente un senso civico e morale esponenzialmente superiore, ma l'Italia sarebbe comunque là a marcire, in mano alla mafia (quella "ufficiale" del sud e quella "ufficiosa" delle sedi del governo). Allora ho capito che comunque non mi sarebbe bastato, perchè non è solo il fatto che il mio titolo di studio non valga niente, che probabilmente vivrò nel precariato a vita e che non avrò mai la pensione, a darmi fastidio, ma in primis è l'ingiustizia.
In seguito quindi, è arrivata anche l'indignazione, sentimento che in me, come nella maggior parte degli italiani sembra essere stato messo a tacere da uno status quo che, assuefacendoci alla corruzione, all'immoralità, all'illecito legale, ha lasciato spazio solo alla rassegnazione e all'arrendevolezza. Un moto di ribellione, seppur ancora troppo debole, ha iniziato a salirmi dentro, dal basso verso l'alto. Avevo voglia di gridare, di andare a bussare a tutte le porte e dire "cazzo! ma come si fa? ma vi rendete conto? svegliatevi!" viviamo in un viscidissimo regime, diverso da quello fascista solo per l'astuzia con il quale viene mascherato dalle classi politiche, di destra come di sinistra, e noi ancora crediamo di abitare un paese democratico. Ci lasciamo abbindolare, ci facciamo fare di tutto, convinti ormai che la nostra parola non valga niente.
Insomma, alla fine mi è venuta voglia di fare qualcosa, anche se poi mi sono subito chiesta "ma io che posso fare?". Tuttavia non posso mica restare indifferente ai crampi che ho sentito allo stomaco durante tutto lo spettacolo!
Infine, ho così trovato la risposta alle mie domande e ho realizzato che Travaglio deve avere gli stessi crampi, ho capito che va avanti per lo stesso motico per cui io voglio provare con tutte le mie forze a lavora al servizio della cultura. Perchè è un bisogno quasi fisico, perchè semplicemente non ne può fare a meno, la giustizia è il suo "imperativo incondizionato", per usare un termine imparato alla Blitris, come per il Dr. House curare i suoi pazienti.
E' forse lo stesso motivo per cui Paolo continua a lavorare per Riminiteatri da anni nonostante lo stipendio basso, l'ignoranza e la poca collaoratività dei colleghi e l'indifferenza delle istituzioni.
A volte si sta meglio a non sapere certe cose.
Altre volte è bello sapere che esistono certe persone.

domenica 6 aprile 2008

Anamnesi

di schermi grigi del cellulare che indicano le 8.20.

di tazze di thè bevute solitarie sfogliando periodici gratuiti con brutte grafiche.

di programmi educativi alla tv che parlano di integrazione razziale.

di pentole sul fuoco mentre mia madre sonnecchia sulla poltrona.

di aria grigia.

di cielo come-sempre-nuvoloso.

di macchine rade sulla strada.

di passeggiate lente di passanti anziani.

di pranzi alle dodici e trenta minestra-bollito-contorno-ciambella.

di stomaci pesanti.

di discorsi sul calcio.

di salotti vuoti.

di comicità televisiva di cattivo gusto.

di gelati e fast-food al centro commerciale.

di spese artificiali.

di vestiti dozzinali in catene low cost.

di sguardi nel vuoto.

di trucchi pesanti e tacchi inadeguati.

di cappotti col pelo.

di libri aperti. richiusi.

di altri libri sfogliati. rimessi sullo scaffale.

di controlli inutili della posta elettronica.

di nasi appoggiati alla finestra.

di vetri macchiati di pioggia.

di calzini di spugna e pigiami fino al pomeriggio.

di rientri in silenzio.

di soffitti, pareti, porte. immobili e grigi.

di scarabocchi confusi su fogli sparsi.

di lenti minuti.

di illusi palliativi.

di noia. Domenica