Se ci fosse un premio nobel per la solitudine credo che, escludendo Giacomo Leopardi il quale, pace all'anima sua, è ormai fuori gara, potrei essere una dei candidati favoriti e più adatti a riceverlo, soprattutto dopo la mia performance di ieri sera al compleanno di M. (a.k.a. "la mia migliore amica", come continuo a chiamarla forse più per fedeltà d'intenti che per vero reciproco attaccamento).Sarà difficile superare o anche solo eguagliare i livello di "tappezzerismo", se mi è concesso il termine, da me raggiunto ieri sera alla festa della già citata M. e di C., svoltasi nella pineta di Montecerreto. Mi chiedo se sia poi corretto usare l'espressione "fare da tappezzeria" riferendosi ad una festa in un bosco; forse sarebbe più giusto dire "fare da sottobosco", "fare da vegetazione", "fare da manto erboso", o quant'altro. Resta il fatto che nelle 8 ore passate in quella radura, dalle 22 alle 6 circa, devo aver pronunciato qualcosa come 20 frasi in tutto, realizzando il risultato di un discorso di 2 minuti ogni ora circa.
Il resto del tempo l'ho passato rannicchiata o stesa su una coperta, osservando alternativamente il fuoco o le persone che vi erano radunate intorno, ascoltando i loro discorsi, osservandone i visi e i movimenti, ogni tanto accettando le canne che mi venivano passate, giusto per mantenere a livello costante quella quiete apatica trasmessami dalla location e dal calore del falò.
In effetti, per la maggior parte del tempo, nonostante fossi consapevole che della mia palese asocialità e immobilità, non ho sentito nulla di più del normale senso di inadeguatezza che da sempre provo in situazioni come queste. Voglio dire, ovviamente avevo quella sensazione da barbone catapultato ad una festa a Buckingham Palace del genere "cosa diamine ci faccio qui?", ma forse per merito del buio e delle condizioni del luogo, non mi sentivo così a disagio da voler fuggire a gambe levate o dover per forza fare qualcosa per ovviare alla situazione, (almeno non per le prime 5o 6 ore). Per questo non ho nemmeno ripiegato su una eventuale ebbrezza che avrebbe potuto agevolare le relazioni sociali,ed ho preferito lasciare agli altri alcool e droghe.
Il che non significa che fossi contenta di starmene lì da sola a galleggiare nel vuoto sociale della mia serata sammarinese, anzi per la verità ho continuato a sperare che qualcuno si avvicinasse per fare due chiacchere, anzi una vera conversazione, ma i rari scambi di parole che ho avuto l'opportunità di fare si sono spenti assai brevemente, in parte a causa della incapacità di trovare una qualsiasi futile domanda da porre o osservazione da fare al mio interlocutore. Ad un certo punto della serata, F. mi ha visto stesa in un angolo e mi ha fatto segno di avvicinarmi a lui, mi ha chiesto come andava, mi ha chiesto che faccio in questo periodo e non si è scoraggiato nemmeno davanti alla mia laconica risposta "mi annoio", continuando a farmi qualche domanda e a sorridermi benevolo. Eppure io non sono nemmeno stata capace di cogliere questa ancora di affettuosa cordialità, che avrebbe potuto salvarmi dal mio naufragare nel mare della solitudine. Per timidezza, per paura, perchè dopo ore passate nell'isolamento iniziavo ormai a intristirmi e non avevo più voglia di chiacchere passatempo, ma avrei voluto parlare di quanto mi sentivo estranea e triste.
Sì, perchè alla fine, anche se fin dal momento in cui avevo accettato di andare alla festa sapevo che sarebbe finita così, non potevo che riscontrare con desolazione quanto le mie previsioni, già poco ottimistiche, fossero comunque state più rosee della buia realtà e decine di domande e constatazioni avevano cominciato a girarmi in testa.
Di queste, alcuni erano quesiti che mi ero già posta mille altre volte tipo "smetterò mai di essere così timida?", "perchè conosco questa gente da almeno 7-8 anni e non ci ho mai fatto amicizia?", "sono loro che sono troppo frivoli per me o io che sono troppo seria?", "sono loro il problema sono io che sono troppo snob?", "perchè a me queste persone non piacciono e M. si trova così bene con loro?". Quest'ultimo quesito mi aveva infine portato a riflettere sul mio rapporto con M. e a chiedermi se
davvero ha senso dire che lei è la mia migliore amica (ammesso che questa espressione abbia mai avuto senso alcuno), quali sono le basi per affermare ciò? Non ci sentiamo mai, non abbiamo bisogno l'una dell'altra, non parliamo nemmeno più molto dei nostri problemi, sembriamo non avere neppure più niente in comune, se non la nostra amicizia fatta più di passato che di presente. Lei stessa durante la serata, mi si è seduta accanto un attimo e guardandomi mi ha detto "Giuly...la mia più vecchia amica", ecco la definizione perfetta, la qualità che mi contraddistingue dalle altre, l'unico "di più" che ho rispetto a loro è un vantaggio di tipo temporale, una superiorità esclusivamente quantitativa e non qualitativa.
E non ho potuto fare a meno di chiedermi se davvero la nostra amicizia esistesse ancora o non fosse solo un altro dei rapporti che piano piano mi erano scivolati via dalle mani, portati via dal tempo come tanti altri. Come quelli con Camilla ed Elisa che pure erano presenti alla festa e che erano state le mie più care amiche ai tempi delle elementari e delle medie, per poi diventare astio e rancore ai tempi delle superiori e di nuovo tornare ad una cordiale socievolezza di incontri fortuiti passati gli anni dell'adolescenza. Avevo perso così anche l'ultima delle mie amicizie di lunga data?
Oggi, mentre scrivo queste parole e ne affronto per la prima volta il significato che tanto mi spaventa, capisco che tengo più al fatto di poter dire a mè stessa che ho un'amica da tanti anni, che a coltivare davvero quell'amicizia, ora capisco che quella definizione sciocca e priva di senso, "migliore amica", è per me come una sorta di attestato che certifica il fatto che so "tenermi degli amici", una sorta di salvacoscienza che, come qualunque diploma io abbia ottenuto finora, nasconde dietro un puro valore formale un vuoto abisso sostanziale.
Esattamente come a scuola ho imparato presto a preoccuparmi esclusivamente dei voti e non di quello che davvero avevo imparato, così come credevo che solo i numeri potessero provare la mia bravura, il mio valore al mondo, così ho fatto con le amicizie, una volta riempita una voce dell'agenda, non mi sono data pensiero di dare spessore al rapporto con le persone, trattandole come soli riempitempo o valvole di sfogo.
Ancora una volta la mia dimostra essere solo apparenza e non sostanza.
E oggi, in mezzo ai mille timori, fra cui quello di non fare alcuna amicizia ad Avignone, il pensiero che più mi inquieta è pensare che io sia superficiale nei rapporti così come nei miei studi, e che mi annoi delle persone così come mi accade con le cose...
1 commento:
le situazioni cambiano, e con loro anche le persone che ci sono dentro, e' dura a volte da accettare ma e' il cambiamento tutto sommato che fa apparire quello che c'era prima, va da se che adesso c'e' dell'altro (di buono) e bisogna trovarlo.
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