"I don't want to own anything until I find a place where me and things go together.
I'm not sure where that is but I know what it is like. It's like Tiffany's."
Questo pomeriggio ho rivisto per la terza volta Colazione da Tiffany.
Ironico il fatto che proprio oggi, nonostante capissi la metà dei dialoghi della versione in inglese e che lo guardassi distrattamente mentre caricavo delle foto su FB, per la prima volta io abbia fatto caso a quanto il personaggio di Holly Goligthly mi rappresenti e quanto le sue parole parlino di me.
Anche io mi sono sempre sentita, come la sperduta protagonista di questo film, "a wild thing". "I dont belong to nobody and nobody belong to me" dice Holly e parafrasando un'altra battuta "I don't belong to anywhere".
Ed io, come lei, non ho mai trovato qualcosa, qualcuno o qualche luogo in cui riconoscermi, che sentissi totalmente mio e a cui sentissi di appartenere.
Nel film Holly, dopo un anno dal trasloco ha ancora l'appartamento semivuoto e tutte le sue cose chiuse negli scatoloni, ed io come lei, da quando sono tornata qui, ho evitato il più a lungo possibile di comprarmi un'auto, cercarmi una casa e anche uscire con ragazzi "locali". Spaventata dall'idea di fermarmi e rimanere incollata qui. Terrorizzata dall'idea che qualcosa di quello che stessi facendo potesse essere "per sempre". Convinta che la mia permanenza qui fosse solo temporanea.
Continuo a pensarlo.
Nella mia testa continuo a ripermi che niente di quello che sto facendo è definitivo. Continuo a immaginarmi o a sperare in qualcosa o qualcuno che mi faccia un giorno ripartire, ricominciare o proseguire la mia ricerca.
Perchè continuo a credere che la mia vita non sia qui. Perchè spesso sento che quella che sto vivendo non è la vita che ho scelto: non il lavoro, non la città, non gli svaghi, a volte nemmeno gli affetti. Come se fosse la vita di qualcun altro.
Quando mi domando perchè resto qui spesso la risposta è: perchè al momento non ho di meglio da fare o dove andare.
Ma questa scelta in negativo, questo scegliere di non andarsene, non è pur sempre una scelta?
Non sto forse solo negando a me stessa, che, se anche la mia vita sembra non appartenermi, io forse comincio ad appartenere a lei? Che nonostante io faccia di tutto per non mettere radici, la terra di questo luogo ha piano piano ricoperto i miei piedi?
"La vita é quello che ti succede mentre sei impegnato a fare altre progetti" dice una delle più celebri frasi di John Lennon.
E così credo sia successo a me: mentre ero impegnata a fare altro, la mia vita ha iniziato a costruirsi a mia insaputa e questo luogo ad agganciarmi con mille invisibili uncini: un lavoro a tempo indeterminato, i corsi di danza che non voglio lasciare, la ripresa degli allenamenti con la vecchia squadra di nuoto, i rinnovati rapporti con la mia famiglia, qualche nuova amicizia e un locale di cui sono diventata un'abituée.
E senza rendermene conto ho finito per comprare un'auto tutta mia, ridurre le mie fughe in treno a Mantova (dove vivevo una vita parallela) e scegliere i mobili per la mia nuova casa.
Alla fine del film, Holly capisce che non può, e forse non vuole, più scappare. Si arrende all'idea di non poter più essere quella "poor slob", che non appartiene a nessuno e non possiede niente. Allora corre in strada sotto la pioggia a cercare il suo randagio e anonimo alter ego felino, finalmente pronta a dargli un nome e una casa.
Io non sono Audrey Hepburn, non vivo a New York e non indosso elegantissimi tubini.
Lei ha deciso di adottare un gatto, io mi sono fatta la carta fedeltà di una multinazionale dell'arredamento.
Holly Golightly faceva colazione da Tiffany, io prendo il caffé all'Ikea.
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